Proprio domani, sabato 20 maggio, si festeggiano a Briga e a Domodossola i cent'anni dall'apertura della galleria ferroviaria del Sempione. Ma nella retorica dell'ufficialità ben pochi saranno gli accenni alla durezza del lavoro svolto un secolo fa dai lavoratori, soprattutto italiani, e alle loro condizioni di vita. E a come furono sfruttati, sottopagati e privati dei più elementari diritti. A Briga giunsero dall'Italia 4 mila minatori. Lavoravano in condizioni disumane, con temperature che in galleria raggiungevano i 56 gradi. I minatori morti nello scavo furono 67, altri 200 perirono per le pessime condizioni igieniche negli accantonamenti. E se protestavano, per loro erano pronti polizia ed esercito, con fucili, spade, manette e catene, pronti ad espellerli verso l'Italia. Ce lo ricorda il giornalista Frank Garbely, cofondatore della rivista vallesana "Rote Anneliese", nel contributo che segue. Esso è la traduzione di un capitolo del libretto "Bau des Simplontunnels: Die Streiks" pubblicato dal sindacato Unia per i cent'anni del Sempione. È il capitolo in cui si racconta la repressione dello sfortunato sciopero del 1901. Gli uomini stanno camminando verso l'uscita del tunnel. Invano gli si fa incontro un sorvegliante: urla «cos'è questo casino? Tornate al lavoro, o sarete licenziati». «Sciopero, idiota», gli risponde gridando un lavoratore e lo minaccia col pugno levato. Gli uomini percorrono l'ultima traversa e sfociano nel tunnel I. Li stanno già aspettando, il grido, in italiano, è sempre più forte: «sciopero! Sciopero!». Il cantiere della galleria del Sempione è aperto da tre anni quando, il 24 giugno 1901, i lavoratori del fronte di Briga sospendono per la terza volta il lavoro. Le loro principali richieste sono un aumento del 20 per cento dello stipendio e l'istituzione di una commissione del personale. La direzione lavori a Briga non sembra né sorpresa né preoccupata: come se nulla fosse fa preparare il treno di cantiere per portare in galleria i lavoratori che inizieranno il turno di notte alle 22. In effetti verso le 21.30 arrivano i primi minatori. Ma nessuno sale sul treno di cantiere. Gli uomini invece occupano il sedime del cantiere e barricano l'entrata della galleria. È già passata la mezzanotte quando Bernhard Tschieder, municipale di Naters, strappa giù dal letto il prefetto Alfred Perrig. Sotto, sulla piazza San Sebastiano, stanno già aspettando il capitano Josef Stockalper, l'ingegnere capo Hugo von Kager e un paio di poliziotti: «dei minatori stanno dando l'assalto alle officine meccaniche», gridano su. Un'ora prima 150 minatori avevano voluto convincere i loro colleghi delle officine a partecipare allo sciopero. Ma i meccanici si erano rifiutati. La discussione degenerò ben presto in una rissa selvaggia, i minatori e i meccanici cominciarono ad aggredirsi con pezzi di legno e stanghe di ferro. Dei minatori infransero alcune finestre e sfondarono le porte delle officine. Quando la rissa era iniziata sul posto c'erano soltanto tre poliziotti. Spararono diversi colpi e sguainarono le loro spade. Presi dal panico i minatori lasciarono l'edificio. Spade al vento i poliziotti li inseguirono fino al ponte sulla Rotten. Una dozzina di lavoratori rimase ferita. Qualcuno spaccò una spalla ad un poliziotto con una spranga di ferro. Quando il prefetto Perrig con il suo comitato di crisi giunge alle officine regna di nuovo la calma. L'ingegnere capo Hugo von Kager esige che il prefetto Alfred Perrig suoni l'allarme. Ma s'impone il capitano Josef Stockalper, fine stratega. Anche lui vuole che si mobiliti la guardia popolare, ma senza dare troppo nell'occhio. Nelle ore successive tutti i soldati della guardia popolare di Glis, Briga e Naters vengono svegliati uno per uno nei loro letti dai poliziotti. E senza farsi notare i soldati, armati con munizione effettiva, prendono posizione sul cantiere. Ma tutto rimane calmo. La rissa di lunedì notte è per il momento l'unico incidente. Al cambio di turno delle 6 si presentano soltanto quattro sorveglianti e due operai. «Per il momento sarebbe inutile ogni tentativo di riprendere il lavoro», annota la direzione lavori della Brandt, Brandau & Co il 25 giugno in un rapporto all'indirizzo del governo vallesano. Nelle officine meccaniche e sui cantieri esterni al tunnel l'attività prosegue normalmente. Verso sera però la Brandt, Brandau & Co sospende il lavoro: «si temevano assalti alle istallazioni e ai lavoratori», spiega la direzione lavori. Anche il prefetto Alfred Perrig ritiene che ci saranno gravi disordini. Il 25 giugno invia un telegramma a Sion: «mandate una compagnia, sono probabili numerosi incidenti». Con il treno delle 19.15 arrivano a Briga 130 soldati e 20 gendarmi. I gendarmi organizzano subito un nuovo posto di polizia nel cantiere. I soldati si riuniscono davanti alla stazione, organizzati per sezioni. I lavoratori rimangono calmi. A piccoli gruppi osservano dal bordo della strada le manovre marziali. Non si riuniscono nemmeno in assemblea. Aspettano l'arrivo dei segretari dell'Unione sindacale. Con il treno delle 19.15 è già arrivato Diotalevi, uno studente italiano che dovrebbe fungere da traduttore per i segretari sindacali. Diotalevi va a Naters. Vuole chiedere al sindaco l'autorizzazione per tenere un'assemblea di lavoratori. «Non si può fare», è la risposta del sindaco Salzmann, che spiega a Diotalevi: «dall'ultimo sciopero il Consiglio di Stato, d'accordo con il Consiglio federale, ha deciso che il diritto di riunione vale ancora soltanto per i cittadini svizzeri». E il prefetto Perrig a Briga minaccia: «se lei convoca un'assemblea e parla agli scioperanti, la farò arrestare ed espellere». Il giorno seguente – è il 26 giugno 1901 – arrivano i segretari sindacali Jean Sigg di Ginevra e Arnold Calame di Zurigo. Sigg è furioso. Vuole discutere la tattica delle trattative con il comitato di sciopero. Ma non c'è nessun comitato di sciopero. Non c'è nemmeno un catalogo di richieste ai quali i lavoratori abbiano dato la loro adesione. Diotalevi traduce un paio di timide spiegazioni dei minatori: «hanno paura. Dall'ultimo sciopero tutti i leader operai sono stati espulsi, ma se ne sono dovuti andare anche loro colleghi. A molti è stato tagliato lo stipendio». Jean Sigg ha preso alloggio in una delle numerose pensioni a buon mercato di Naters che il traduttore Diotalevi ha scelto come punto d'incontro per i sindacalisti. Ma già il giorno seguente deve andarsene, dice: «la proprietaria ci prega di sceglierci un'altra pensione. Piange, perché il sindaco l'ha minacciata. Le ha detto che se continuerà a dare alloggio a dei sindacalisti le faranno chiudere la pensione». I segretari sindacali e il traduttore si sistemano per i giorni seguenti nell'atelier di un sarto italiano. La sera del 26 giugno alle 18 i lavoratori si riuniscono a Naters su un campo aperto per una prima assemblea. Soltanto a fatica il segretario Arnold Calame riesce a riunire un comitato di sciopero. Tre ragazzotti celibi appena ventenni si lasciano convincere. L'assemblea dei minatori in sciopero fissa le rivendicazioni: 1. Giornata lavorativa di 8 ore in galleria, calcolate a partire dall'entrata nel tunnel; 2. Giornata lavorativa di 10 ore sui cantieri esterni alla galleria: 3. 50 centesimi di paga in più al giorno per ogni operaio; 4. Elezione diretta della commissione del personale; 5. Riassunzione di tutti gli scioperanti; 6. Libertà di riunione per tutti i lavoratori; 7. Una regolamentazione migliore della responsabilità civile, rispettosa delle disposizioni legali. Subito dopo l'assemblea una delegazione consegna questo catalogo di rivendicazioni alla direzione lavori. Ma la direzione lavori non vuole neppure incontrare la delegazione: «Con voi non discutiamo. Una commissione del personale c'è già, e respinge queste richieste». La costituzione di una commissione del personale era stata la grossa conquista dello sciopero del novembre 1899. Ma si tramutò ben presto in farsa: tutte le riunioni dovevano tenersi negli uffici della direzione lavori. Le riunioni erano presiedute da un membro della direzione lavori. Perfino il verbale lo faceva la direzione lavori. L'istituzione della commissione del personale fu decisa il 16 gennaio 1900. L'ultimo verbale è del 3 giugno 1900. Il 27 giugno, quarto giorno di sciopero, si riuniscono a Sion i direttori della Brandt, Brandau & Co, i sindaci di Naters e Briga e il prefetto Alfred Perrig con il consigliere di Stato Henri Ducrey, direttore del Dipartimento di giustizia e polizia. I direttori della Brandt, Brandau & Co propongono che tutti i lavoratori che hanno partecipato all'attacco alle officine «siano arrestati e deferiti al Tribunale penale. I minatori dell'avanzamento, quelli che hanno iniziato la rivolta e con la violenza hanno indotto anche i tranquilli lavoratori del tunnel a seguirli, devono essere arrestati ed espulsi per via amministrativa dal nostro Paese». Questa proposta viene accolta all'unanimità. Per catturare i lavoratori che si stanno cercando il consigliere di Stato Ducrey mette a disposizione un'altra compagnia di soldati. Arriva sabato 29 giugno a Briga col compito di cominciare subito gli arresti. Ma se è vero che l'esercito e la polizia conoscono i nomi dei cospiratori, non si riesce però ad arrestare quasi nessuno. La mossa successiva dovrebbe però permettere di centrare l'obiettivo. Con un avviso la ditta Brandt, Brandau & Co comunica: «Il nuovo termine di disdetta dei contratti di lavoro è fissato a un giorno». Il giorno seguente la direzione lavori espone un altro cartello: «L'impresa considera licenziati tutti i lavoratori che hanno lavorato nel tunnel. Coloro che vogliono riprendere il lavoro devono presentarsi all'ufficio di controllo. Chi non vuole riprendere il lavoro deve annunciarsi all'ufficio di controllo e verrà pagato il giorno seguente (3 luglio)». Devono ancora essere versati salari per tre settimane. Chi vuole i suoi soldi deve presentarsi all'ufficio di controllo. Venerdì 28 giugno i minatori si riuniscono per l'ultima volta. I segretari sindacali raccomandano ai lavoratori di mantenere la calma: «restate a casa, non andate nelle osterie», consiglia Jean Sigg. Dato che la direzione lavori s'è rifiutata di ricevere la delegazione degli scioperanti i lavoratori vogliono attivare il Consiglio federale come mediatore. Benché le prospettive di successo siano minime l'assemblea decide quasi all'unanimità che lo sciopero continua. Domenica mattina il prefetto Perrig mette in atto la minaccia che aveva rivolto al traduttore Diotalevi. Lo fa arrestare e rinchiudere a Briga. Con scritto del 2 luglio Perrig revoca la libertà di riunione, che pure è un diritto sancito dalla Costituzione: «il prefetto di Briga dichiara con la presente che non sono più ammesse assemblee di lavoratori italiani e che da oggi in poi le deciderà lui stesso su richiesta». Ai segretari sindacali che protestano con veemenza risponde secco: «agisco secondo stretti ordini del Consiglio federale». Adesso è comunque troppo tardi per protestare. Nel frattempo è ormai già il 3 luglio, un mercoledì. I lavoratori ricevono paga. All'ingresso del cantiere vengono prelevati uno per uno dai soldai e condotti all'ufficio stipendi. Dietro al contabile della ditta, che consegna le paghe, se ne stanno seminascosti dei lavoratori a cottimo che tradiscono chi è membro del sindacato e chi ha avuto un ruolo attivo nello sciopero. Numerosi lavoratori non vengono più assunti. I motivi addotti con più frequenza: «lei legge l'Arbeiterstimme, il giornale dell'Unione sindacale svizzera», oppure «lei è socialista». Lo sciopero finisce malamente. Dopo che un lavoratore ha ricevuto la sua paga quattro soldati, la baionetta piantata sui fucili, lo accompagnano fino all'uscita del cantiere. Coloro che hanno condotto lo sciopero e i lavoratori organizzati nel sindacato vengono arrestati e gettati in prigione. I lavoratori stranieri arrestati vengono poi rinchiusi in vagoni cellulari, ammanettati e incatenati a due a due, e trasportati col treno via Losanna e Lucerna fino in Ticino, da dove gli si fa passare la frontiera. Il 4 luglio il lavoro al tunnel del Sempione riprende. Manca un operaio su cinque.

Pubblicato il 

19.05.06

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