L'amministrazione federale ha fatto sapere pochi giorni fa che secondo le informazioni in suo possesso le imprese fornitrici di lavoro temporaneo non hanno violato nel 2005, né più spesso né in misura maggiore per rapporto agli altri datori di lavoro, le condizioni di lavoro usuali nel mercato. In base all'indagine effettuata presso le Commissioni tripartite cantonali e le Commissioni paritetiche locali Berna ha fatto sapere che non intende prendere alcuna misura ulteriore di protezione per i lavoratori precari. Ma leggendo quello stesso rapporto in base al quale l'esecutivo elvetico mantiene lo "status quo" ci si rende conto di quanto poco si possa in realtà sapere sulle agenzie interinali. Sono infatti diverse le Commissioni cantonali che interpellate dal Segretariato di Stato dell'economia (Seco) – che ha svolto l'indagine – hanno fatto notare che non sono in grado di fornire informazioni attendibili sul numero di abusi nel settore della manodopera a prestito. Primo perché non spetta a loro controllare e secondo perché nella maggior parte dei casi non esistono delle chiare regole contrattuali.

Bastano solo due frasi estrapolate dal documento che l'amministrazione federale ha pubblicato per giustificare la sua decisione di non prendere ulteriori provvedimenti per tutelare i lavoratori precari per capire quanto in realtà ben poco si sa delle imprese che forniscono manodopera a prestito. La prima frase: «diverse Commissioni tripartite hanno fatto notare che il controllo dei prestatori spetta in linea di principio alle Commissioni paritetiche e che la legge obbliga i prestatori a rispettare le disposizioni relative al salario e alla durata del lavoro soltanto se sussiste un Ccl (contratto collettivo di lavoro, ndr) di obbligatorietà generale». La seconda: «La maggior parte delle Commissioni paritetiche non ha presentato dati riguardo ai prestatori per il fatto che, tra l'altro, il lavoro temporaneo non riguarda il loro settore o li riguarda solo marginalmente o perché, durante il periodo di sondaggio, non esistevano contratti o non ne esistevano di obbligatorietà generale».
Se si confrontano ora queste due affermazioni al fatto che l'indagine svolta dal (Seco) si basa proprio su un questionario inviato alle Commissioni tripartite e paritetiche dei vari cantoni – invitate a segnalare i casi di abuso – si può capire quanto le conclusioni dell'esecutivo elvetico siano parziali. Il ragionamento contenuto nel rapporto del Consiglio federale sulla situazione nel settore della fornitura di personale a prestito – in risposta ad una mozione della Commissione speciale "Libera circolazione delle persone" che nel 2004 chiedeva alla Confederazione di monitorare con particolare attenzione gli abusi nel settore interinale – è piuttosto semplice: solo nel caso in cui gli abusi delle imprese di collocamento superano quello degli altri rami economici vale la pena di prendere nuovi provvedimenti per tutelare i lavoratori dal dumping salariale e sociale.
I risultati ottenuti – ricavati con i limiti di cui abbiamo scritto sopra – non hanno però dimostrato che il numero di abusi è superiore presso le interinali. Quindi – conclude il Consiglio federale – nessuna nuova misura è necessaria nei confronti delle imprese di lavoro temporaneo.
Ma come si legge nello stesso documento parecchie Commissioni non sono state in grado di fornire informazioni adeguate sul numero di abusi. La ragione principale consiste nel fatto che non esiste un metro di misura che permetta di valutare se, ad esempio, il salario corrisposto da un'agenzia interinale è abusivo o meno. Sfuggono infatti al controllo – quando poi questo è effettivamente svolto dalle autorità cantonali – tutte quelle professioni non assoggettate ad un contratto collettivo di lavoro (Ccl, in Svizzera sono quasi il 50 per cento, mentre in Ticino sono circa il 40 per cento). Ci sono poi dei Ccl che non contemplano nemmeno un salario minimo. Come è allora possibile affermare che "tutto va bene"?
La sezione Ticino e Moesa del sindacato Unia in un comunicato stampa di protesta nei confronti delle conclusioni del Consiglio federale ha fatto notare che in questa situazione (dove non esiste altro che la regola della libera contrattazione fra le parti) «la verifica (degli eventuali abusi, ndr) è limitata al massimo al 20-25 per cento della manodopera interinale». Cioè nelle migliori delle ipotesi – quando esiste un Ccl di obbligatorietà generale e quando i cantoni effettuano realmente dei controlli – al massimo solo la condizione di un lavoratore temporaneo su cinque può essere verificata. Il sindacato ha inoltre fatto sapere che nei prossimi mesi lancerà un'iniziativa popolare volta a modificare l'attuale legislazione sul prestito di manodopera per renderla più vincolante in materia di rispetto delle condizioni di salario e d'impiego. Da parte sua invece la Confederazione ritiene che i due strumenti già oggi disponibili rappresentano una sufficiente sicurezza. «Se in un ramo o una professione – si legge nel rapporto di Berna – si violano ripetutamente e abusivamente le condizioni di lavoro usuali in un ramo o in una professione nell'ambito della fornitura di personale a prestito, gli interlocutori sociali possono chiedere il conferimento dell'obbligatorietà generale al contratto collettivo esistente purché siano rispettate le condizioni legali oppure l'autorità competente può stabilire un contratto normale di lavoro su richiesta delle Commissioni tripartite».
Peccato solo che non si possa definire abusiva una situazione in cui di fatto non si sa cosa possa essere considerato abuso – visto che non esistono regole. E peccato che finora in nessun caso le autorità elvetiche sono intervenute per stabilire dei contratti di lavoro.

Pubblicato il 

23.06.06

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