Immaginate una squadra di rugby che dopo una clamorosa vittoria rientra a casa con un treno ad alta velocità francese. È il momento del famoso “terzo tempo”, quando si beve e si festeggia senza limiti. Nessuno pensa alle conseguenze di quello che fa. E i bagni del treno vengono ridotti in uno stato di sporcizia estremo, con vomito (e altro) dappertutto. Raggiunta la stazione di destinazione, il personale di bordo dipendente delle ferrovie dello stato scende dal treno turandosi il naso. Vi salgono quindi le lavoratrici e i lavoratori addetti alle pulizie, assunti da un’impresa subappaltatrice con contratti precari e stipendi bassissimi

 

Potrei parlare dei danni causati dalla ristrutturazione dei servizi pubblici in Europa negli ultimi 30 anni e delle condizioni precarie del personale di pulizia e di tante altre figure che non fanno parte del cosiddetto core business (le attività principali di un’impresa che non si devono esternalizzare) o interrogarmi sul perché di questo. Potrei anche riflettere sull’impatto delle ristrutturazioni sullo spirito di solidarietà tra le diverse figure professionali che operano nel settore dei trasporti, nella sanità o nella scuola, che lavorano insieme ma che hanno datori di lavoro diversi e non si considerano più colleghi. 

 

Vorrei invece concentrarmi su cosa succede a Fatima (nome di fantasia), cioè la persona che deve ripulire i bagni dai fluidi corporei puzzolenti dei ragazzi. Un lavoro che è stato studiato da una grande ergonomista canadese, Karen Messing, nel suo libro del 2014 “Pain and Prejudice: What Science Can Learn about Work from the People Who Do It”. Fatima non deve solo respirare un’aria fetida, ma anche fare degli sforzi enormi per riuscire a pulire in uno spazio piccolo, con tanti punti di difficile accesso, come il retro della tazza (i maiali hanno sporcato ovunque!). Lavora con un’attrezzatura standard non adatta a uno spazio piccolo, ma vuole fare bene il suo lavoro, anche perché un residuo di sporcizia lascerebbe puzza per giorni. Fatima è ben consapevole del fatto che il suo lavoro si nota solo quando non è fatto. Pochi si rendono conto della pulizia di un posto e ringraziano chi l’ha curata.


Allora Fatima pulisce come può, sudando, sporcandosi, mettendosi in ginocchio o addirittura coricata per arrivare ovunque. Come a tante lavoratrici nel settore terziario, le capita spesso di dover assumere posture scomode per lavorare, il che è una causa ben conosciuta di gravi disturbi muscolo-scheletrici, che con gli anni provocheranno forti dolori e patologie disabilitanti.

 

Ma Fatima non ha scelta: se il bagno non lo fa brillare, rischia di essere licenziata, e non se lo può permettere. Ed è anche indotta a lavorare senza prendersi cura di sé, perché dispone di un tempo limitato per pulire ogni vagone. Un tempo che non dipende dalla sporcizia che trova (cioè dal lavoro da fare), ma da un dettagliato accordo tra il suo datore di lavoro e le ferrovie. E verosimilmente l’impresa per cui Fatima lavora avrà vinto l’appalto con la promessa di far lavorare lei e le sue colleghe a ritmo sfrenato. O, detto con la terminologia del management aziendale, con un’organizzazione efficiente del lavoro.

 

Messing osserva che le discussioni sulla concezione dei bagni nei nuovi treni (francesi, ma non solo, naturalmente) sono state fatte senza coinvolgere le persone che li devono pulire. Come ergonomista, è consapevole che questo avrebbe favorito una giusta concezione degli spazi, cosa che può rendere il lavoro più semplice (e veloce). Ma chi se ne frega di Fatima?

Pubblicato il 

24.06.24
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