Italia

“Se dico treno buttatevi da quella parte”. Eccolo, il salvifico sistema di sicurezza per proteggere la vita dei manutentori delle ferrovie, gli operai che lavorano sui binari. Peccato che quel treno che movimentava vagoni andasse a 160 chilometri orari, troppo veloce perché il delegato di Rfi (Rete ferroviaria italiana) potesse avere il tempo di gridare ‘treno’ ai cinque operai che stavano mettendo in sicurezza sette metri di rotaia.

Così Giuseppe Aversa (49 anni), Michael Zanera (34), Giuseppe Saverio Lombardo (52), Giuseppe Sansovino (43) e Kevin Laganà (22) sono stati ammazzati a Brandizzo, a 20 chilometri in linea d’aria dallo stabilimento siderurgico della ThyssenKrupp di Torino dove morirono bruciati sette operai. Si sono salvati solo in due, il tecnico Rfi Antonio Massa messo lì dall’azienda per controllare qualità del lavoro e garantire il rispetto delle norme sulla sicurezza e Andrea Gibin, il caposquadra del gruppo operaio della ditta Si.gi.fer che aveva ricevuto in appalto il lavoro. I protocolli di sicurezza per evitare la tragedia sono stati violati per risparmiare tempo. Bisognava fare in fretta. Senza autorizzazione, non c’era l’ok della centrale all’avvio dei lavori perché il treno che sarebbe dovuto passare era in ritardo di venti minuti. Ma è prassi, come hanno dichiarato tutti i testimoni operai ascoltati dagli inquirenti, iniziare i lavori prima del via libera. 750 euro era il costo del lavoro da fare in fretta, 50 euro a metro di binario più 200 euro per ognuna delle due saldature necessarie. Da un breve calcolo si evince il valore della vita di ognuno dei 5 operai: 150 euro.


Si è detto: errore umano del tecnico e del caposquadra, i due sopravvissuti che per ora sono gli unici ritenuti responsabili della strage, ma la magistratura è costretta a risalire la catena di comando per verificare se l’anticipo nei lavori di manutenzione è prassi. Se a essere marcio e colpevole non è l’operaio o il tecnico che fanno un errore ma invece il sistema di comando, dunque il vertice delle Ferrovie. Può un errore umano, che va sempre messo in conto, provocare una strage? Non deve, ma può nel sistema ferroviario italiano e non è certo la prima volta che accade. Non è un caso se solo sulle linee dell’alta velocità c’è un sistema elettronico che blocca i treni automaticamente quando viene rilevato un ostacolo, che sia una pecora, un masso, un uomo, o cinque uomini. La sicurezza, dunque la vita di chi lavora e di chi viaggia, risponde a criteri classisti e si privilegiano i treni “pieni di signori” come nella Locomotiva di Guccini. Altrimenti non resta che un fischio alla pecorara, o l’urlo ‘treno!’ per sperare di cavarsela.

Come nel film di Ken Loach


Sembra di essere nel film di Ken Loach “Paul, Mick e gli altri” (The Navigators), dove il liberismo e le privatizzazioni azzerano il valore della vita dei manutentori delle ferrovie, con gli appalti al massimo ribasso e i subappalti a cascata che determinano lungo la filiera una progressiva riduzione dei diritti e della sicurezza di chi lavora. Le cose andavano male prima del governo Meloni, adesso vanno peggio perché le destre hanno picconato il codice appalti sulla base del principio secondo cui l’unico regolatore è il mercato e l’unico interesse l’utile d’impresa. Dunque via lacci, regole e controlli e treni avanti tutta, anche prima di avere la certezza che sui binari non ci siano ope-rai al lavoro. È lo stesso governo Meloni che, oltre a liberalizzare appalti e subappalti a cascata, si oppone al salario minimo e spudoratamente aveva dimezzato il sostegno alle famiglie delle vittime sul lavoro, salvo poi essere costretto a fare marcia indietro.


Mentre indagano per verificare se il lavoro non in sicurezza sia una prassi, gli inquirenti (a cui suggeriamo la visione del film di Ken Loach) hanno già classificato il reato di omicidio, anzi di strage: non è preterintenzionale ma con “dolo eventuale”, formula a cui si ricorre quando si presuppone che chi aveva la responsabilità sulla sicurezza conoscesse il rischio a cui venivano esposti gli operai. Come alla ThyssenKrupp, come all’Eternit, come ha spiegato mille volte Raffaele Guariniello, il magistrato che più si è battuto per prevenire e combattere gli infortuni e le morti sul lavoro. E a proposito dell’errore umano, una delle più importanti conquiste operaie negli anni Settanta riguardava proprio la sicurezza: si ripetevano gli infortuni alle presse e in lastratura dove per evitare rischi bisognava premere un bottone, ma così una mano restava libera e poteva essere amputata da una lama o schiacciata da un peso. Bastò introdurre un secondo bottone da premere per occupare entrambe le mani dell’operaio addetto e salvargli la mano e, spesso, la vita. Oggi, con tutte le tecnologie disponibili, è possibile evitare stragi come quella di Brandizzo. Se avvengono, il sostantivo da usare è assassinio.


Giorgia Meloni non è che il punto estremo di un processo avviato da molti anni che ha visto coinvolti governi di destra e di sinistra. Un processo culturale di svalorizzazione del lavoro, in primis quello manuale troppo frettolosamente dato per morto dentro uno scenario “post-industriale”. Il lavoro manuale è soltanto oscurato, cancellato dall’immaginario collettivo così come è capitato successivamente anche al lavoro non manuale, stupidamente chiamato immateriale. E non ci si è più chiesti – la sinistra non si è più chiesta – cosa ci fosse a monte della merce materiale e immateriale che consumiamo ogni giorno. Il lavoro scompare, i lavoratori diventano trasparenti, non compaiono più nel talk show, non entrano più in un Parlamento per ricchi, come i treni ad alta velocità, quelli, soli, protetti dall’errore umano. Gli operai, i lavoratori in generale non fanno più notizia, di loro nessuno parla. O meglio, fanno notizia solo quando muoiono sul lavoro e solo se sono almeno cinque. C’è da sperare allora che di loro non si parli proprio.


Secondo i dati dell’Osservatorio sulle vittime del lavoro sono già un migliaio le croci piantate nel camposanto del liberismo e della disumanità.

Pubblicato il 

14.09.23
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