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“Dove ci mandi?”. Una scritta in blu e rosso su un lenzuolo bianco ci accoglie di fronte allo stabile giallo dell’Hotel Vezia. Sul piazzale alcune bambine e alcuni bambini giocano su un veicolo elettrico. All’ombra, in un piccolo praticello un gruppo di uomini beve del tè, fuma e parla. Ci sediamo con loro e iniziamo a chiacchierare: sono tutti originari del Kurdistan e sono ospiti di questo Centro richiedenti l’asilo gestito dalla Croce Rossa per conto del Dipartimento socialità e sanità (DSS) del Canton Ticino. Alcuni hanno trovato qui la loro tranquillità e l’ambiente è rilassato. Il prossimo 30 di giugno, però, il centro chiuderà e per molti residenti il futuro resta incerto: «Non so ancora dove andrò, in pochi mesi ho girato cinque posti con la mia famiglia; ho la sensazione di essere trattato come un numero da mandare in giro a seconda degli spazi disponibili» si lascia andare Boran*.  


La decisione di non rinnovare il contratto con la famiglia Wilke, proprietaria dell’albergo, è giunta qualche tempo fa. Il motivo non è chiaro. Da noi contattato a più riprese al telefono, il Capo dell’Ufficio dei richiedenti l’asilo e dei rifugiati (URAR), Renzo Zanini, ci ha dato una laconica risposta per e-mail: in sostanza ci viene detto che la collaborazione si è conclusa nel rispetto degli accordi presi in precedenza con la proprietà dell’Hotel. Sui motivi concreti che hanno spinto a non andare avanti, però, non ci viene data nessuna spiegazione. Sull’esperienza di Vezia, ci dice Zanini, non è stato stilato nessun rapporto e non è stato fatto un bilancio scritto.

 

Va detto che il Cantone ha sempre considerato il Centro, aperto nel febbraio del 2023, come “provvisorio”. Lo aveva ribadito più volte al Municipio di Vezia, non entusiasta nel vedersi accollato dall’alto un Centro asilanti. Fatto è che il contratto è poi stato prolungato a due riprese, ma ora si è deciso di non andare avanti: «A noi sarebbe piaciuto continuare, ma non c’è stato verso. Siamo molto sconcertati per il fatto che i tanti elementi positivi di questa esperienza non siano stati considerati» ci dice il proprietario Markus Wilke, mentre è impegnato a sistemare una cisterna.

 

A differenza di altri centri collettivi per i richiedenti l’asilo presenti in Ticino, quello di Vezia è considerato da molti come un modello virtuoso: «Siamo in una situazione di semilibertà, vicini a un centro abitato, connessi con i mezzi pubblici e, soprattutto, qui si è potuto creare un bel clima tra gli ospiti della struttura. Siamo come una grande famiglia» ci spiega Jean*, un giovane proveniente dall’Africa subsahariana. Il ragazzo è triste perché il giorno dopo verrà trasferito in un’altra struttura: «Non so cosa mi aspetta, dovrò ricominciare la mia integrazione da capo».

 

Molti ospiti di Vezia hanno appreso l’italiano e hanno svolto delle attività lavorative. C’è chi ha già trovato un lavoro nella zona, come Manuel*, al quale però è stato prospettato un trasferimento a Locarno: «Adesso abbiamo trovato una soluzione più vicina, ma non capisco come abbiano potuto pensare di trasferirmi così lontano dal posto di lavoro che a fatica ho appena trovato» ci dice il giovane.


A non comprendere questa decisione è anche l’avvocata Immacolata Iglio Rezzonico e il Collettivo R-Esistiamo: «Nel nostro girovagare in Ticino tra i vari centri della Croce Rossa e nell’incontro con le persone che vi abitano possiamo dire che il Centro di Vezia viene vissuto meglio di tanti altri sia per la sua posizione, sia per la gestione». Il Collettivo ha di recente inviato una lettera ai proprietari nella quale si esprime il rammarico per la chiusura dell’esperienza. «Ci sono voluti anni per riuscire a far chiudere un non-luogo insalubre e patogeno come il bunker di Camorino. Perché chiudere ora questo posto che funziona?» ci dice al telefono Iglio Rezzonico.

 

Dubbi che si pone anche il deputato Beppe Savary-Borioli che ne ha accennato durante la recente discussione in Gran Consiglio sul consuntivo del DSS. Il deputato ha ribadito che la chiusura di Vezia è in contraddizione con quanto stabilito nel 2020 dal Consiglio di Stato. Il Governo aveva infatti affermato che “per poter ridurre i costi” si doveva privilegiare “l’aumento della capacità d’accoglienza cantonale in centri collettivi di dimensioni relativamente grandi (150-250 persone)”.


Oltre a essere un luogo d’integrazione che non ha mai creato problemi di ordine pubblico, il Centro di Vezia è anche una realtà economica con alcune attività che sono cresciute grazie alla presenza dei rifugiati all’Hotel Vezia: «Con la mia Sagl organizzo pranzi e cene, sette giorni su sette, per gli ospiti della struttura» ci spiega Tosca Serena. La giovane imprenditrice ha sviluppato un progetto che ha integrato dei migranti nella preparazione dei pasti: «Quattordici persone hanno fatto uno stage qui e ho potuto assumere direttamente quattro persone che, però, con la chiusura del Centro dovranno trovarsi un altro lavoro. Peccato perché l’integrazione funzionava molto bene e da un punto di vista umano è stata un’esperienza molto positiva».

*Nomi di fantasia

Pubblicato il 

19.06.24
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