Manifestazione 16 settembre

Per Berna sembra andare tutto bene: il benessere della popolazione negli ultimi venti anni è aumentato. Punto, fine. Un benessere che, fra rincari, cassa malati e salari fermi al palo, non tutta la società percepisce. Abbiamo chiesto a Sergio Rossi, professore di macroeconomia ed economia monetaria all’Università di Friborgo la sua opinione: «No, l’aumento del benessere, è stato ad appannaggio della classe benestante, ma non certo del ceto medio il cui potere d’acquisto è fortemente toccato al ribasso. Anzi, non è mai stato così basso».
Per questo l’Unione sindacale svizzera (Uss) sabato 16 settembre a Berna scenderà in piazza per un maggiore potere d’acquisto, ossia per una compensazione coerente del rincaro. Per un aumento dei salari e delle pensioni.

 

Professor Rossi, la Seco ci dice che il benessere in Svizzera è cresciuto. Eppure, proprio a Berna il prossimo 16 settembre si manifesterà a livello nazionale contro la perdita del potere d’acquisto, chiedendo un aumento dei salari: non cozzano le conclusioni isitituzionali, in relazione in particolare alla libera circolazione delle persone, con la situazione reale vissuta da chi vive e consuma in Svizzera?
Il contrasto è chiaro e lampante. L’aumento del benessere e la crescita degli stipendi in Svizzera in realtà riguardano una piccola parte della popolazione residente, vale a dire le persone benestanti che hanno beneficiato della libera circolazione delle persone a discapito del resto della popolazione, la quale invece si trova in una condizione ben peggiore rispetto alla situazione precedente l’entrata in vigore dell’Accordo sulla libera circolazione delle persone. È ovvio che la libera circolazione delle persone ha comportato un forte calo del potere di acquisto di molte persone residenti in Svizzera, soprattutto nelle regioni periferiche, tra cui spicca il Ticino per le sue caratteristiche socioeconomiche accentuate dalla propria posizione geografica, situato in una sorta di imbuto tra una barriera alpina come il massiccio del San Gottardo e una vasta area urbana come la vicina Lombardia. Basta guardare al numero di coloro che devono rivolgersi ad associazioni per avere un pasto caldo al giorno. Lo stesso si può dire per quanto riguarda il numero di lavoratori poveri, che non riescono a vivere del loro salario. Senza parlare dei giovani, che fanno diversi ‘stages’ poco o nulla pagati, per poi doversi iscrivere a un ufficio regionale di collocamento al fine di avere diritto alle indennità di disoccupazione, perché non
riescono a trovare alcun impiego pur avendo un titolo di studio accademico.

 

Come legge la perdita del potere d’acquisto in Svizzera e quali sono le cause? Storicamente si è mai vissuta una situazione simile?
Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, si nota un forte rincaro dei prezzi al consumo non compensato da una crescita equivalente degli stipendi. La siccità e i cambiamenti climatici sono due ulteriori fattori che spingono al rialzo il livello generale dei prezzi, senza che vi sia un aumento parallelo dei livelli salariali, né delle rendite di chi è al beneficio della pensione. Si tratta di una situazione che storicamente non ha precedenti simili, perché durante la Prima guerra mondiale non esisteva né la globalizzazione né la finanziarizzazione, che oggi dettano sia le scelte economiche sia quelle politiche. Neanche a seguito della Seconda guerra mondiale si visse una situazione simile, perché si creò lo Stato sociale per sostenere le persone bisognose a vantaggio dell’economia nel suo insieme. Durante gli anni Settanta del secolo scorso, a seguito dei due choc petroliferi, ci fu una notevole impennata dei prezzi al consumo indotta dal forte aumento del prezzo dei prodotti derivati dal petrolio, come la benzina e l’olio da riscaldamento, ma mai come ora si sono osservati numerosi fattori che hanno impresso una forte pressione al ribasso sul potere d’acquisto della popolazione e senza alcun tentativo da parte dei poteri politici di porre rimedio a questo impoverimento di portata epocale.

 

Come si può uscire da questa situazione che sta precarizzando l’intera classe media?
È urgentemente necessario cambiare paradigma sul piano economico, ma anche aprire gli occhi sul piano politico, per vedere la realtà nel suo insieme e capire che senza un cambio di passo e di visione, la situazione socioeconomica per l’insieme della Svizzera continuerà a peggiorare senza alcuna possibilità di correzione. I problemi di ordine economico sono sempre maggiori e più gravi. I politici al governo dovrebbero capirlo e agire di conseguenza, per migliorare notevolmente il tenore di vita del ceto medio e delle persone in Avs. Per esempio, il governo federale deve prelevare una imposta sugli extraprofitti delle aziende che in questo biennio hanno aumentato i loro prezzi di vendita molto più di quanto siano cresciuti i loro costi di produzione. Va inoltre aumentata l’imposizione fiscale dei patrimoni elevati. Con queste risorse fiscali sarà allora possibile versare aiuti e sussidi pubblici a tutte le persone in difficoltà finanziarie per condurre una vita dignitosa. Ciò aiuterebbe indirettamente anche l’intera economia, visto che le maggiori spese di consumo aumenterebbero la cifra d’affari e i profitti delle aziende in questo paese.

 

Secondo uno studio della Seco pubblicato a luglio, il Prodotto interno lordo svizzero è cresciuto in media dell’1,75% e con “un Pil pro capite a parità di potere di acquisto di 82.400 dollari Usa, la Svizzera nel 2022 si posiziona al quarto posto tra gli Stati europei dopo Lussemburgo, Irlanda e Norvegia”. Pil e potere d’acquisto vanno così di pari passo?
No, di certo, ancora una volta, si tratta di una immagine fallace. Se il Pil svizzero è cresciuto e in termini pro-capite la Svizzera si situa ai vertici della classifica in Europa, ciò non significa di per sé che ogni residente in Svizzera abbia visto aumentare il proprio tenore di vita. È la classica storia che vede statisticamente due persone mangiare un pollo a testa, quando in realtà la persona benestante è dotata di due polli, mentre l’altra persona non ne ha affatto. La crescita del Pil svizzero è indubbia, durante questi vent’anni di libera circolazione delle persone, ma la quasi totalità di questo aumento è andata a beneficio delle persone benestanti, lasciando solo le briciole al ceto medio. Del resto, non è più un mistero che, dallo scoppio della pandemia da Covid-19 a inizio 2020, il numero di persone in difficoltà economiche è notevolmente aumentato in Svizzera, soprattutto in Ticino, rispetto alla popolazione residente. È altrettanto evidente che i salari della maggioranza delle persone occupate in Svizzera non sono adeguati al rincaro del costo della vita, in particolare dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, le cui conseguenze economiche sono ormai lampanti per quanto riguarda l’aumento dei prezzi al consumo e il conseguente calo della capacità di acquisto di quasi tutta la popolazione, ma non di chi beneficia di una rendita di posizione, come i proprietari di aziende nel campo energetico o alimentare.

 

Perché Berna sembra così scollegata dalla situazione vissuta dai cittadini?
La politica federale è sempre più chiaramente orientata a soddisfare gli interessi privati del proprio elettorato, ma dimenticando che lo Stato è in realtà complementare, non antagonista, all’economia di mercato. Anche se può apparire paradossale, le aziende private possono guadagnare maggiori profitti, se aumenta la spesa pubblica. I politici al governo dovrebbero capirlo e agire di conseguenza, per evitare il buco nero verso il quale sia la loro azione di governo sia le scelte strategiche di molte aziende e istituzioni finanziarie stanno spingendo il nostro sistema economico. L’economia deve tornare a soddisfare i bisogni degli esseri umani, invece di sfruttare le persone per massimizzare i profitti, distribuiti poi ai poteri forti senza alcun legame con la meritocrazia e avulsi da qualsiasi finalità di benessere e prosperità per l’insieme dell’intera società.

 

 

 

Pubblicato il 

14.09.23
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