Salute e lavoro

Quando il lavoro, sotto la stecca del sole o un diluvio, diventa infernale, bisogna fermare i cantieri. Non è questione di capricci, ma di vita, quella degli edili, che viene messa in pericolo, perché costretti a sgobbare in situazioni climatiche estreme. Una petizione, sottoscritta da quasi 20mila persone attive nel settore, chiede una maggiore protezione della loro salute con norme precise definite a livello nazionale.

 

Non si può più parlare di eccezionali ondate di calore: la canicola è diventata una realtà, che rientra nella norma anche delle estati svizzere. Figuriamoci nei cantoni più caldi come il nostro. E il cambiamento climatico si fa sentire letteralmente sulla pelle degli 80mila muratori e artigiani che nel nostro paese, giorno dopo giorno, lavorano con qualsiasi meteo duramente nei cantieri di tutta la Svizzera.

 

Costruiscono le nostre case, le scuole, gli ospedali e le infrastrutture di cui necessitiamo, in un momento in cui l’edilizia è ai massimi storici. Ma mentre il settore va a gonfie vele, la situazione degli edili è ben diversa e sottovalutata nella sua gravità: costretti a “sudare” le proverbiali sette camicie, anche se a... torso nudo.


La petizione “La nostra salute ha bisogno di maggiore protezione” degli edili, presentata venerdì 24 novembre, chiede a chiare lettere che il lavoro venga interrotto o posticipato in caso di pericolo per la salute o la sicurezza.


Per Unia non si può più rimandare: la questione delle condizioni estreme in cui è costretta a operare una fetta importante di persone va affrontata con misure puntuali. È un dato di fatto, comprovato dalla scienza, il cambiamento climatico è in atto: c’è il dovere di agire per proteggere chi lavora all’aperto, ora senza particolari protezioni. Non è “solo” questione di sottoporre l’organismo a sforzi pericolosi, mettendo a repentaglio la salute, ma le dure condizioni espongono anche a maggiori rischi di incidenti.

 

Occorrono norme chiare definite a livello nazionale: non si può lasciare ai Cantoni la facoltà di legiferare, o non legiferare, a proprio piacimento. E, non si deve permettere – aggiunge Dario Cadenazzi, responsabile del settore Edilizia Unia Ticino e Moesa – che «a pagare il prezzo, anche da un punto di vista economico, dei cantieri aperti a ogni costo, siano i lavoratori come, invece, oggi avviene ancora».


È una questione di cultura del lavoro, dove i diritti di chi è salariato devono avere lo stesso peso di coloro che investono. «I committenti pretendono che si costruisca in tempi sempre più stretti» constata Chris Kelley, coresponsabile a livello nazionale del settore Edilizia di Unia. E così «a causa della pressione delle scadenze, gli edili sono costretti a lavorare anche in condizioni di maltempo e di caldo insopportabile, con gravi ripercussioni per la loro salute e compromettendo la garanzia della sicurezza nei cantieri» continua Kelley.

 

Una pressione “a correre”, costi quel che costi (la pelle degli altri, in questo caso), che non esercitano solo i privati, ma pure – già, proprio così – l’amministrazione pubblica per i suoi cantieri.
Dovrebbe essere ovvio che lavorare in condizioni estreme, di maltempo o canicola, genera un’importante dose di stress e, conseguentemente, aumenta il rischio di infortunio.

Già, dovrebbe essere evidente, ma a farla da padrone è la logica di mercato e del profitto. E così «ogni anno, in Svizzera, un edile su sei è vittima di un infortunio», evidenzia Nico Lutz, responsabile del settore Edilizia e membro del Comitato direttore di Unia.


Statistiche alla mano: nell’edilizia il rischio di infortunio è tre volte superiore a quello di tutti i settori economici messi insieme e oltre quindici volte superiore a quello del lavoro d’ufficio. «Decisamente troppo: un rischio non accettabile in una società evoluta e in un mercato del lavoro sano» rincara Cadenazzi.


Torniamo alla petizione resasi necessaria di fronte all’immobilità della politica e delle associazioni padronali. Prima richiesta: i lavoratori del ramo chiedono l’organizzazione di una tavola rotonda a cui sono chiamati a partecipare, in particolare, la Società svizzera degli impresari costruttori, altre associazioni del ramo, la Suva e i committenti pubblici. Un incontro che deve avvenire «prima della prossima ondata di caldo». Il solleone, nonostante il Natale alle porte, è già dietro l’angolo, e occorre da subito «concordare misure concrete per proteggere maggiormente la salute di chi è, in questo caso, al fronte».


Si parlava di cultura del lavoro: «Solo se aumenta, si possono attuare campagne di prevenzione e affrontare a livello sovracantonale il problema della sicurezza sui cantieri con campagne di prevenzione e norme che valgono per tutti. C’è ancora scarsa sensibilità rispetto a questo tema» annota dal canto suo il funzionario sindacale Diego Moretti.


È necessria responsabilità da parte della politica e di chi fa impresa, in quanto è un dovere tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Allora, ci domandiamo, come mai in fase anticipatoria non si prende in considerazione tale minaccia? Non si può più farsi trovare impreparati per l’estate 2024, di fronte a quello che non è più un rischio, ma una realtà. Occorre modulare gli orari di lavoro, soprattutto nei cantieri dove il rischio di colpo di calore è potenzialmente alto (pensiamo a coloro che sono impiegati nella costruzione dei tetti o delle strade), e introdurre un ammortizzatore sociale.


L’assicurazione contro le intemperie non copre adeguatamente e indennizza a partire dal terzo giorno di stop del cantiere, il che porta le imprese a non interrompere l’attività. «Questo è un aspetto cruciale. Con scadenze già oggi troppo strette, gli edili in molti casi subiscono una forte pressione per non interrompere l’attività pur di rispettare a tutti i costi la tabella di marcia» evidenzia Cadenazzi.
In Ticino, «dove si è fatto un passo in più rispetto ad altri cantoni», lo stop per gli edili delle strade scatta alle 13 con un’allerta di pericolo 3, mentre per gli altri edili ci si ferma alle 15. Per Cadenazzi «una prima misura di protezione, che risulta però insufficiente, in quanto fa pagare ai lavoratori la problematica delle intemperie».

Pubblicato il 

30.11.23
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