L'editoriale

Nonostante le aperture delle terrazze dei ristoranti, dei centri fitness e dei cinema del 19 aprile, nonostante i numerosi assembramenti (illegali) di migliaia di persone cui assistiamo da settimane e nonostante un diffuso rilassamento nella popolazione che sempre meno si attiene alle misure di protezione contro il coronavirus, l’andamento della pandemia in Svizzera è positivo: i casi giornalieri di nuove infezioni sono in diminuzione, le ospedalizzazioni si riducono sensibilmente e i decessi pure. Parallelamente la campagna di vaccinazione avanza a ritmo spedito. Tutto questo consentirà a breve un ulteriore allentamento delle misure restrittive (in particolare l’apertura anche degli spazi interni di bar e ristoranti) e dunque la riconquista di pezzi di libertà. Eppure c’è chi si lamenta per presunti errori di valutazione degli esperti e pretende di riaprire tutto e subito.


A farlo non sono solo i cosiddetti “negazionisti” che manifestano nelle piazze e inondano i social media con le loro teorie astruse. Ma anche politici e rappresentanti dell’economia, che, evidentemente, alla tutela della salute dei cittadini antepongono interessi elettoralistici e il profitto. L’Udc, il partito di maggioranza relativa e del presidente della Confederazione Guy Parmelin, per esempio non trova di meglio che chiedere lo scioglimento della task force di esperti della Confederazione, rea di raccontare «fiabe horror» e di diffondere «allarmismo sul Covid», inducendo lo Stato a «intaccare sempre di più le libertà delle cittadine e dei cittadini». I rappresentanti padronali non si spingono tanto in là, ma chiedono di anticipare da subito le riaperture che il Governo vorrebbe programmare per fine mese, peraltro contro il parere degli stessi esperti (accusati dall’Udc di manipolare il Consiglio federale) che continuano a predicare «prudenza». Persino una misura indolore come l’obbligo di Home Office (di fatto una vaga raccomandazione poco rispettata e non fatta rispettare) andrebbe revocato immediatamente, sostiene il presidente dell’Usam Fabio Regazzi intervenendo anche a sostegno della riapertura immediata degli spazi interni di bar ristoranti: «Pur con tutta la buona volontà non capisco perché continuino a restare chiusi», spiega... dall’alto delle sue competenze in epidemiologia e virologia.


In una fase come questa, al tempo stesso delicata e di grande speranza, imprenditori e politici farebbero meglio a pensare come contribuire concretamente a un ritorno il più rapido possibile a una vita più o meno “normale” per tutti. Per esempio, per quanto riguarda le aziende, consentendo ai dipendenti di andare a vaccinarsi durante il tempo di lavoro, tenuto conto che è nell’interesse dell’intera società che più persone possibili vengano immunizzate il più in fretta possibile. Alcune lo fanno ma altre (almeno per ora) no: come Migros, il più grande datore di lavoro in Svizzera, che sbandiera la sua “responsabilità sociale” ma che continua a considerare la vaccinazione un «affare privato da farsi durante il tempo libero». La politica, dal canto suo, invece di fare inutile propaganda, dovrebbe occuparsi di questioni urgenti, come quella del passaporto vaccinale, uno strumento che nei prossimi mesi (e chi sa ancora per quanto) farà parte della nostra vita quotidiana e determinerà le libertà di ciascuno di noi. Non proprio una banalità, insomma. Per quali attività bisognerà presentare un certificato di vaccinazione? Solo per volare o entrare allo stadio oppure anche per andare al cinema, a teatro, in un ristorante, al supermercato? Quali limiti vanno posti? Sono questioni che andrebbero chiarite con grande urgenza, tenuto conto che l’arrivo del passaporto vaccinale è previsto al più tardi per fine giugno.


Invece di “sparare” sugli esperti che ci avrebbero tolto troppe libertà, sarebbe più intelligente provare a definire, con equilibrio e buonsenso, le libertà che avremo nei prossimi mesi.

Pubblicato il 

12.05.21
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