Il diritto alla parità di retribuzione per un lavoro di pari valore vale da anni. Tuttavia, le donne dell’Unione europea guadagnano ancora molto meno degli uomini. Nel 2018 il 14,4% in meno. Secondo Eurostat, questa discriminazione salariale si spiega solo in minima parte con fattori strutturali come l’età, l’istruzione, la professione, l’esperienza lavorativa, il tipo di contratto d’impiego, il settore, le dimensioni dell’azienda, la proprietà o la sede dell’azienda. Anche tenendo conto di questi fattori, secondo Eurostat le donne continuano a guadagnare l’11,2% in meno degli uomini.


Ma perché il diritto in vigore ha sin qui fallito così miseramente quando si tratta di proteggere i salari delle donne? La risposta sta nelle leggi: le donne sono costrette a portare i loro datori di lavoro in tribunale se vogliono far valere i loro diritti. E si tratta di cause che non sono facili da vincere, perché le aziende possono tenere segreti i loro salari. Inoltre chi porta querela deve fare i conti con possibili ritorsioni da parte del datore di lavoro. Succede così che tra il 1996 e il 2007 in Germania ci sono stati solo 31 processi in materia di parità salariale. 16 invece quelli in Francia e solo uno in Polonia! Lo scorso maggio, su pressione dei sindacati, l’Ue ha quindi adottato una nuova direttiva europea volta a “rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore”.


Questa nuova legge dell’Ue rafforza la trasparenza retributiva e l’applicazione della parità salariale. In futuro, ogni dipendente avrà il diritto di conoscere la retribuzione media di tutti i dipendenti che svolgono un lavoro equivalente nella stessa azienda. E ogni azienda con più di 100 dipendenti sarà obbligata a riferire regolarmente sul divario retributivo di genere. Inoltre, in futuro gli Stati dell’Ue potranno raccogliere e pubblicare autonomamente informazioni sui salari delle aziende, sulla base dei dati forniti dai datori di lavoro alle autorità fiscali e previdenziali. Se il divario salariale è superiore al 5% e non può essere oggettivamente giustificato, l’azienda deve concordare misure correttive con un’organizzazione di rappresentanza dei lavoratori. Inoltre, in futuro l’assegnazione di appalti pubblici potrà essere subordinata all’attuazione della parità salariale. Altre misure, come l’alleggerimento dell’onere della prova o una migliore protezione contro gli atti di ritorsione per i denuncianti, rafforzano la tutela salariale delle donne e la parità di retribuzione.

Pubblicato il 

14.09.23
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