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Behrouz Boochani, scrittore e giornalista curdo iraniano, fuggito dal suo paese e rimasto trattenuto per oltre sei anni sull’isola di Manus a causa delle politiche australiane in tema di asilo e immigrazione, ha recentemente presentato in Italia il suo ultimo libro, “Nessun amico se non le montagne. Prigioniero nell’isola di Manus” (add editore, 2019). Lo abbiamo intervistato.

Quali sono i motivi per cui è andato via dall’Iran?
Ho lasciato l’Iran a causa delle mie attività culturali. Svolgevo attività con alcuni amici per tenere viva la cultura e la lingua del popolo curdo. Alcuni di loro sono stati arrestati per il loro attivismo e io ho subìto molte pressioni, così ho deciso di andare via.


Un rifugiato di Manus ha dichiarato, durante il conferimento di un premio in Svizzera, di essere rimasto sorpreso dal fatto che l’opinione pubblica non sia a conoscenza dei campi di detenzione australiani. Com’è possibile?
In Australia molte persone conoscono la situazione, ma il vero problema è che la maggior parte dei media è di proprietà di Murdoch e questo spiega perché pongono l’attenzione su cose insignificanti. I media hanno creato un’immagine distorta della situazione dei rifugiati e anche quando le notizie sul tema riescono a ottenere visibilità, non sempre le persone comprendono la realtà dei fatti, perché quello che vivono i rifugiati è considerato “normale”. La detenzione a tempo indeterminato, compresa quella dei minori, è considerata normale, non stupisce più, per questo è difficile creare un cambiamento. Sapere non basta per cambiare.


Ha scritto che l’Australia ha usato il “fattore paura” per dividere rifugiati e gente del posto, cosa che avviene anche in Italia. I rifugiati sono stati presentati come criminali e i locali ne hanno timore. Cosa si può fare per cambiare la narrazione?
I migranti sono disumanizzati dai politici, dai media. Quindi è importante condividere le loro storie e fare in modo che siano loro stessi a raccontarle. Credo che ascoltare le storie dai diretti interessati, guardarli in faccia, possa portare a un cambiamento. Per me il mezzo più potente per parlare dei rifugiati è attraverso l’arte. Gli artisti possono fare tanto: i media fanno cronaca ma non basta, l’arte può creare empatia.


Cosa pensa di quanto sta accadendo oggi in Iran? Si arriverà a un cambiamento?
Le persone in Iran protestano contro il vecchio regime. È un atto rivoluzionario guidato dalle donne, dalle ragazze. Il governo uccide senza farsi problemi, esegue condanne a morte senza farsi problemi e non ha neanche forti condanne dalla comunità internazionale, per questo credo che non sarà facile avere un cambiamento se non a seguito di grandi perdite umane. Il governo iraniano ha appreso la lezione da quello siriano: uccidendo si può mantenere il potere. Ma credo che alla fine le persone riusciranno a cambiare il sistema, con fatica, ma lo faranno.

Pubblicato il 

31.08.23
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