La povertà alla cassa

Lavorare in un ambiente ostile per un salario di 3.200 franchi: il racconto delle ex dipendenti di una stazione di benzina. Una realtà comune in molti distributori ticinesi

Gli statistici definiscono a rischio di povertà un’economia domestica  quando è incapace di affrontare una spesa imprevista di 2.500 franchi. In Ticino sarebbero una su tre, cioè il 32,6%, il tasso di gran lunga più alto del paese. Di questo gruppo fanno parte le ex e le attuali dipendenti della stazione di servizio di cui vi raccontiamo. Se nel loro caso vi è la particolarità di un ambiente di lavoro pessimo, la difficoltà nel sopravvivere con misere paghe è simile a molte impiegate in altre stazioni di benzina sparse sul territorio.  

Una stazione di servizio come tante, di quelle che offrono ristorazione e negozio annesso. Situata su uno degli assi stradali più trafficati del cantone, il gran via vai di clienti è assicurato. Nella normalità del settore anche le paghe per la decina di collaboratrici che su tre turni assicurano il servizio dall’alba a notte inoltrata. Stipendi molto simili al concetto di “salari dignitosi”, stando al metro di giudizio del governo ticinese nella sua recente proposta di salario minimo. Le lavoratrici in questione guadagnano 3.200 franchi lordi che diventano 2.700 al netto. La tredicesima non è contemplata.

 

Forse i membri del governo che hanno approvato quell’importo non hanno mai vissuto sulla propria pelle l’esperienza del vivere con quella cifra in Ticino. Area lo ha chiesto alle dirette interessate, poco meno di una decina di ex dipendenti che hanno lavorato in quella stazione di benzina. Così tante, perché il turnover in quel posto di lavoro è estremamente elevato. Salvo le due responsabili che vi lavorano da diversi anni, le altre impiegate vi restano a volte meno di un anno, in altri casi arrivano ai tre anni prima di scappare. È una questione di resistenza, in parte dovuta al proprio grado di sopportazione, ma il più delle volte all’impossibilità di perdere quel misero reddito e allora ingoi il rospo. Molte di loro hanno concluso quell’esperienza lavorativa con l’esaurimento, certificato dai medici. Perché in quel posto al problema della paga si aggiunge un pessimo clima di lavoro che sarebbe dovuto all’instabilità caratteriale dei coniugi proprietari della stazione di servizio e del terreno su cui sorge.


Le condizioni di lavoro sono leggermente migliorate, dopo l’intervento dell’Ispettorato del lavoro su segnalazione del sindacato Unia. Ora le dipendenti hanno mezz’ora di pausa pranzo, mentre prima avevano diritto a una pausa da 15 minuti, suddivisa in due, da sette minuti e otto minuti l’una. Quel che si dice fast food, ingoiare del cibo velocemente con cronometro alla mano, perché guai a sgarrare anche solo di qualche secondo.


Anche le varie violazioni alla Legge sul lavoro, dalle disposizioni sui tempi di riposo notturno, agli orari serali e di tempo libero, costantemente violate in precedenza (con punte fino a 15 giornate di lavoro consecutive), sarebbero state sanate dopo l’intervento delle autorità.


Il condizionale è d’obbligo, visto che come da prassi, le lavoratrici non sono state informate dell’esito dei controlli dell’Ispettorato del lavoro. In Svizzera vige il paradosso che le autorità di controllo non informino le dirette interessate dei danni accertati nei loro confronti. Nemmeno quando  “rubano” loro parte del salario, pagandole meno di quanto legalmente previsto. Non sanno neppure quale multa sia stata inflitta al loro padrone per aver violato i loro diritti. Stando una singolare concezione del segreto d’ufficio, le vittime non hanno diritto a essere informate. Dove stia l’effetto deterrente, è lecito porsi la domanda.


Altri problemi alla ristorazione sarebbero stati riscontrati dal Laboratorio d’igiene cantonale, sempre su segnalazione del sindacato Unia. Anche in questo caso, nessuna informazione sull’esito dei controlli dall’autorità cantonale competente, motivata dalla medesima concezione del segreto d’ufficio. Da informazioni raccolte, parrebbe però che le condizioni minime siano state ristabilite.


Irrisolta invece la questione salariale, anche perché è legale. Da un anno si attende che il Segretariato di stato dell’economia (Seco) si esprima sui ricorsi che bloccano la dichiarazione di forza obbligatoria del contratto collettivo di lavoro per il personale delle stazioni di servizio. Il Ccl, frutto di un accordo a livello nazionale tra sindacati e associazione di categoria, prevede dei salari minimi di 3.700 franchi (3.600 in Ticino e zone di frontiera) per 13 mensilità, ma è stato contestato dall’associazione ticinese di categoria. 3.600 franchi è un salario «fuori dalla realtà» aveva dichiarato Matteo Centonze, presidente dell’associazione ticinese di cui fa pure parte la stazione di servizio di cui riferiamo nell’articolo. I gestori ticinesi, alla cui associazione partecipa anche il gruppo City Carburoil del neoconsigliere nazionale Rocco Cattaneo, preferirebbero far parte del futuro Ccl cantonale della vendita che prevede un salario minimo di 3.200 franchi, partorito dal gruppo di lavoro promosso dal direttore delle finanze e dell'economia Christian Vitta. 


Quando si parla di povertà
A qualcuno, forse, la differenza di 400 franchi mensili in busta paga può apparire non così grave. Non è così per chi deve arrivare a fine mese con quel montante.
«Come si fa? Arrivo alla terza settimana del mese e poi pago al supermercato con la carta di credito. E così, il debito ogni mese cresce di qualche centinaio di franchi, che diventa  qualche migliaio a fine anno» racconta Marta*, una delle ex impiegate presso la stazione di servizio di cui riferiamo. Lei vi ha lavorato per qualche anno perché non poteva permettersi economicamente di perdere quel lavoro, lottando, racconta, «ogni giorno contro le angherie dei proprietari». Alla fine se ne è andata, «per il bene della mia salute e per evitare gesti inconsulti di reazione».


Le ex dipendenti con cui abbiamo parlato sono tutte donne, nella stragrande maggioranza residenti in Ticino e in alcuni casi con figli. Per arrivare a fine mese, fondamentale è l’aiuto dei familiari, genitori o parenti che siano. «Lavori al 100% e devi appoggiarti sui tuoi genitori per arrivare a fine mese. È umiliante» racconta Sandra*.


Alcune sono state costrette al doppio lavoro, per arrivare a superare un periodo economicamente particolarmente difficile. Nulla di eccezionale, casi della vita che purtroppo possono accadere, quali la perdita del lavoro del marito, un periodo relativamente lungo di malattia o infortunio del marito o una separazione. Ma anche un lieto evento come una nascita si può trasformare in una disgrazia economica, diventando motivo di povertà. Per chi ha la “fortuna” di avere un tipo di permesso o di passaporto che non ti faccia rischiare l’espulsione se chiedi un aiuto statale, il danno è arrivato dai tagli alla politica familiare decisi dalla maggioranza degli eletti cantonali. «Da febbraio ricevo quasi mille franchi in meno di assegni integrativi per il figlio» spiega Ursula*, un’altra ex dipendente. A mente del governo, il loro salario è dignitoso.

*nomi di fantasia; i nomi reali sono noti alla redazione

Pubblicato il

30.11.2017 15:25
Francesco Bonsaver

Per Rocco Cattaneo, 3.600 franchi mensili lordi sono "troppi”

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