La mano invisibile

Stiamo sempre più rendendoci conto che la nostra società, la nostra società democratica, sembra attorcigliarsi dentro la contraddizione. Da una parte cresce l’individualismo, la frammentazione dei gruppi sociali, l’indebolimento delle rappresentatività. D’altra parte emerge sempre più l’esigenza imperativa di risposte collettive di fronte alle enormi sfide che si presentano e non hanno frontiere nazionali: il riscaldamento climatico, la lotta contro le epidemie, la preservazione della pace, la protezione sociale che assume nuove forme (pensiamo ai profughi), il concomitante e pure contraddittorio accumulo del capitale da un lato e l’estensione dell’impoverimento o dell’indebitamento d’altro lato, l’esasperata e bellicosa competizione internazionale tra continenti o sistemi-regioni ideologici.


Questa contraddizione l’abbiamo vista all’opera, esacerbata, durante la pandemia: per salvare delle vite, restrizioni temporanee della libertà possono essere applicate a tutti, a una minoranza o a nessuno? E questa libertà può essere condizionata, sottoposta a obblighi sanitari,vaccinali?

 

L’abbiamo vista, suscitando accese discussioni, con quanto capita in Ucraina: si può rimanere “neutrali”, si può esimersi dal sanzionare chi ha infranto il diritto internazionale e pone le premesse per una guerra mondiale, adducendo la giustificazione che non pronunciandosi si è meglio collocati per promuovere un’intesa (buoni offici) o, come è emerso, che non si vogliono compromettere le entrate di cantoni e comuni che ospitano “oligarchi” o commerci russi? E oltretutto, si pensa, per una questione che è sì vicina, ma nello stesso tempo lontana (roba della Nato o dell’Ue che non ci riguarda anche se ci siamo dentro; che è poi una sorta di individualismo-collettivo, un ossimoro politico).


La contraddizione tra la crescita esasperata dell’individualismo, nelle sue varie forme, e l’esigenza di soluzioni che possono essere solo collettive, trova spesso risposte “populiste”. I movimenti o partiti che definiamo genericamente populisti, fosse solo per il fatto che continuano a ripeterci che “il popolo è con noi” o che la “gente” vuole così, sembra che sappiano interpretare meglio la “pulsione individualista”. Facilitando l’identificazione dell’individualista al loro obiettivo elettoralistico, cavalcando ogni volta i temi più incantatori: la sicurezza, l’identità come rifiuto dell’altro; il primato dell’economia intesa unicamente come affare e proprio interesse; l’avversione a ogni intromissione regolatrice dello Stato, che è solo burocratico, ad eccezione di quando deve correre in aiuto del proprio orto; il rifiuto di imposte o di tasse (prontamente invocato ora per ridurre l’aumento dei prezzi); la critica o l’opposizione a quella che viene definita “neutralità attiva” perché ti impegna a qualcosa di collettivo e solidale o alla rinuncia di qualche interesse locale, benché anche una “non scelta”, agli occhi della comunità mondiale, è già una scelta.


Se ci pensiamo bene, proprio con l’esperienza vissuta o impostaci in questi ultimi tempi e con la contraddizione fattasi sistema, forse mai si è imposto in maniera così incandescente l’interrogativo che può decidere del nostro futuro: possiamo concepire e perseguire una risposta politica che non si fondi o continui a essere condizionata da una risposta individualista-populista e che riesca perlomeno a conciliare un destino che non può essere che collettivo a una considerazione attenta all’individuo, ma come persona, più che a soggetto economico o politico-elettoralistico?

 

Pubblicato il 

07.04.22
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