Alla Migros pare regnare una certa confusione. Gli annunci di centinaia di licenziamenti si susseguono a ritmo mensile. 150 alla sede centrale di Zurigo in maggio, 415 la scorsa settimana. MediaMarkt rileverà una ventina di posti vendita di Melectronics, mentre altre 17 filiali saranno chiuse entro novembre. Allo stadio attuale, non si sa quanti dipendenti saranno assunti dal nuovo proprietario e cosa succederà agli esclusi. Il futuro professionale preoccupa anche gli impiegati dei negozi specializzati Micasa, Do it + Garden, Bike World e l’agenzia viaggi Hotelplan di cui Migros ha annunciato la messa in vendita. Il destino dei centri Obi è ancora incerto. A inizio anno, il gruppo aveva stimato a 1.500 i licenziamenti quale conseguenza della ristrutturazione aziendale. Allo stadio attuale, siamo a poco meno della metà. Le comunicazioni dei licenziamenti sono rilasciate col contagocce, tenendo col fiato sospeso migliaia di dipendenti. Del piano sociale si conosce solo la versione ufficiale di Migros, ma non vi è nessuna trasparenza sul contenuto reale, essendo stato sottoscritto unicamente dai sindacati gialli.

 

La confusione in realtà è solo apparente. Alla regia dell’operazione vi è la discussa società americana di consulenze McKinsey, il cui nome in Svizzera riporta al disastroso fallimento di Swissair, spinta dai consulenti ad acquisire altre compagnie quali Sabena che la portarono dritta al grounding del 2001. McKinsey è nota per la cinica ricerca del profitto immediato a qualsiasi prezzo. Con buona pace dell'anima sociale di Migros. «Per l’ulteriore sviluppo dell’organizzazione di Supermarket AG, fondata all’inizio del 2024, la Migros riceve il sostegno mirato della società di consulenza McKinsey» aveva confermato un portavoce di Migros a Inside Paradeplatz.

 

Secondo un esperto interpellato dalla Nzz am Sonntag, i consulenti McKinsey chinati sulla ristrutturazione del gigante arancione sarebbero una quarantina. Costo della consulenza per Migros, 4 milioni al mese. Resta un mistero perché Migros si affidi ai consulenti McKinsey, quando in casa ne ha diversi nei posti chiave. Tre membri su sei della direzione hanno un passato professionale nella società americana.


Matthias Wunderlin, la persona che in qualità di capo di Migros Industrie lo scorso martedì ha annunciato ai collaboratori i 415 licenziamenti, è uno dei personaggi chiave. Dopo sette anni alla McKinsey, Wunderlin entra a far parte del gruppo Migros nel 2007, dove ricoprirà alternativamente i ruoli di dirigente di Micasa, di Do it & Garden, del settore vendita online, del marketing, per infine approdare alla testa di Migros Industrie da gennaio di quest’anno. Quattro settori su cinque toccati dalla pesante ristrutturazione interna.

 

Ai vertici di Migros, troviamo anche Rainer Baumann, direttore operativo, e Michel Gruber, direttore del reparto commerciale, entrambi con un passato professionale nella società di consulenza americana prima di approdare al gigante arancione, scrive il portale d’informazione Inside Paradeplatz. Nella filosofia aziendale di McKinsey, la selettiva selezione interna fa sì che pochissimi restino a lungo nella società. Gran parte dei consulenti ne esce nel giro di pochi anni, ma resteranno dei mckinsey nell'animo per sempre.

 

Le attuali difficoltà del gigante arancione vanno ricercate nelle scelte manageriali sbagliate, in parte dovute alla complessa struttura del gruppo, sostiene la Nzz. La mano destra non sa quel che fa la mano sinistra, è il lapidario commento riferito alle dieci cooperative regionali, la cui autonomia aziendale si scontra spesso con le decisioni centrali. Si cita ad esempio l’investimento estero di Migros Zurigo in Germania con l’acquisto della catena di supermercati Tegut una decina d’anni fa. Un investimento che oggi potrebbe costare caro, molto caro (si parla di 500 milioni di perdita), che andrebbero a riflettersi sul bilancio del gruppo Migros.

 

La nascita di Supermarkt Ag quest’anno mira proprio a ridimensionare il potere delle cooperative regionali a favore di una struttura nazionale. Le dieci regioni continueranno a gestire le filiali dei supermercati regionali, ma molti compiti (acquisti e logistica, ad esempio) saranno centralizzati nella struttura nazionale. La diretta concorrente Coop aveva già abolito le cooperative regionali una ventina d’anni fa, focalizzando i suoi affari sul commercio al dettaglio e all’ingrosso.

 

Oggi, le scelte sbagliate dei manager di Migros le pagano i dipendenti. E senza possibilità di discuterle. Tutto quel che riguarda il piano sociale o le eventuali possibilità di reimpiego in altri settori del gruppo, è imposto dal gigante della distribuzione senza alcun confronto con i dipendenti e i loro legittimi rappresentanti. Al dipendente, il più delle volte, non resta che accettare. «Migros non può chiudere la porta al dialogo trincerandosi dietro la scusante che Unia non è firmataria del contratto. Essere un’azienda socialmente responsabile significa discutere con chi rappresenta i dipendenti per trovare la soluzione migliore nell’interesse delle persone toccate dai licenziamenti. Questo ci si aspetta da un’azienda che si vanta di essere socialmente responsabile. Tutti sanno quanto il singolo lavoratore parta svantaggiato nel negoziare, in questo caso il piano sociale, se confrontato da solo con l’azienda. In questo Paese esiste la libertà costituzionale di scegliere da chi farsi rappresentare sul posto di lavoro. Gli affiliati a Unia hanno il diritto di essere rappresentati dal sindacato di loro scelta. Sarebbe ora che il più grande datore di lavoro privato della Svizzera ne prenda atto, e non sfugga alle proprie responsabilità» spiega Leena Schmitter, membro di direzione del settore terziario di Unia.

Pubblicato il 

25.06.24
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