Affari nostri

C’è un’espressione comune nella Svizzera tedesca che mi ha sempre affascinato. “Durchdenken”, dove “riflettere a fondo sulle conseguenze di una decisione” potrebbe essere una traduzione in italiano. Ma come spesso accade non rende appieno l’originale, che casca a fagiolo quando sei di fronte a quella che sembrava un’eccellente intuizione, che ti ha spinto a quella che ti pareva una saggia messa in pratica, ma ad un certo punto ti rendi conto che non avevi riflettuto su tutto quanto ne sarebbe conseguito e ti ritrovi con un problema nuovo da affrontare.

 

Quest’espressione mi torna in mente davanti ad alcuni sforzi per diminuire l’inquinamento del pianeta, come la questione delle cannucce di plastica per le bibite. Adorate da bimbi e bimbe, in occidente sono state messe alla berlina perché è una plastica non indispensabile alla vita quotidiana.

 

L’alternativa? Sono arrivate sul mercato quelle di metallo, belle ma costose, e francamente metterle in mano a un bimbo mi ha sempre fatto un po’ paura. Le vincitrici sono state quindi quelle di carta o bambù, che ormai si trovano nei supermercati e vengono proposte da molti bar. Confesso che la prima volta che le provai, rimasi leggermente disgustata. La carta, ça va sans dire, a contatto con l’acqua diventa poltiglia e in bocca rimane quel gusto un po’ così, di quando da piccola mastichi pezzi di giornale e la mamma ti sgrida. A casa nostra, abbiamo infine smesso di comprare cannucce per le nipotine e la controversia, almeno fra le mura domestiche, è risolta.

 

La scorsa settimana la rivista Food Additives and Contaminants (additivi e contaminanti alimentari) ha pubblicato uno studio realizzato in Belgio testando 39 marche di cannucce di metallo, plastica, carta e bambù alla ricerca di sostanze considerate problematiche. Si tratta di una classe di materie plastiche nota come PFAS, che sta per “sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate”. Sono soprannominate “sostanze chimiche permanenti”, poiché si accumulano nel corpo animale e nell’ambiente. C’è ampia letteratura sul tema e le autorità di regolamentazione se ne (pre)occupano da parecchi anni. Lo studio belga, disponibile in inglese a questo indirizzo, ha trovato PFAS nella maggior parte dei campioni di cannucce ‘ecologiche’.

 

C’erano PFAS in 18 su 20 campioni di cannucce di carta e in quattro sui cinque tipi in bambù. In tutto, il team di ricerca ha individuato dosaggi definiti modesti di 18 PFAS sugli oltre quattromila esistenti, e il composto più presente è stato il PFOA, messo al bando a livello mondiale nel 2020. La conclusione dello studio sottolinea che se da una parte è ipotizzabile che i produttori aggiungano PFAS perché le cannucce di carta o bambù non si disintegrino dopo pochi secondi a contatto con un liquido, è anche possibile che i residui derivino da contaminazioni del terreno dal quale le materie prime sono state ottenute. Il ciclo infernale non si ferma, d’altronde, perché quando queste cannucce vengono bruciate, rilasciano PFAS nell’ambiente.

 

I risultati di questo studio confermano quelli ottenuti nel 2021 da un gruppo di ricerca americano. Dal Belgio allora gli scienziati suggeriscono che quelle di metallo siano la scelta più sostenibile, dato che in nessun campione si sono trovate queste sostanze. Tuttavia, una soluzione ecologica dovrebbe prendere in considerazione tutta la catena di produzione: dalle materie prime, all’acqua e all’elettricità necessarie per la manifattura, fino allo smaltimento. E con i metalli la questione si fa complessa. Resta insomma il dilemma di come liberarci delle plastiche non indispensabili con soluzioni “durchgedacht”.

Pubblicato il 

31.08.23
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