Una società che afferma: “tutto ha un prezzo” non dovrebbe avere molto spazio per i sogni; almeno per quelli nobili: quelli non si comprano e non si vendono. Si perseguono anche a costo della vita e comunque non si perseguono a scopo di lucro. “Facci sognare” titola la Gazzetta dello Sport. Sogni di trionfo per i colori nazionali o per la squadra del cuore. E non c’è differenza in Europa o nel mondo, dimodoché di fronte allo sciovinismo della competizione sportiva c’è una sola giustificazione: va bene così perché è comunque meglio dello sciovinismo politico che porta ai vari fasci e fronti nazionali. Lo sport storicamente è una rappresentazione simbolica e incruenta dello scontro fra etnie e individui. È un “massacrare” “annientare” “umiliare” senza spargimento di sangue (salvo eccezioni, un po’ troppo frequenti…). Ma ogni esercito e ogni atleta, dall’antichità ai nostri giorni, costa. Un esercito di olpiti, di lanzichenecchi (Landsknechten, servi della gleba) o di moderni “topi del deserto” a batteria tecnologica. Oppure la sua trasposizione simbolica, la squadra, di calcio per esempio; chiamata a difendere i “nostri colori”. L’operazione è da considerare (malgré tout) accettabile e persino legittima. Sta però a vedere se anche i costi dell’operazione sono legittimi. E qui sta il punto. In tempo di vacche grasse nella nostra società occidentale, con diverse sfumature, lo sport ha vissuto in uno strano limbo, a metà strada fra l’astuzia dei padroni che spandevano un po’ di oppio e l’astuzia dello Stato che si chiedeva: che farebbero altrimenti le masse? A messa non ci vanno più, e allora? Meglio infilarle in uno stadio e farle poi aspettare fra polemiche varie la prossima giornata (di campionato). Riassumendo: il “presidentissimo” di turno ha un suo tornaconto: coltiva il suo ego (diventa un eroe popolare) e, se è intelligente, anche la sua saccoccia: grazie al calcio e alle alleanze che ne scaturiscono, può aumentare il suo potere politico e persino finanziario. Lo Stato chiude se del caso un occhio. Ora però questo strano matrimonio d’interessi sembra sul punto di rompersi. Quanto costa mantenere il sogno? Diventa tutto lecito? Il clamoroso furto, la frode, il falso in bilancio? È giusto che lo Stato cancelli ciò che gli è dovuto per salvare il “giocattolo”? O addirittura che debba immettere soldi pubblici per mantenere in vita il sogno? Le folle del calcio arrivano a contestare il “padrone” perché non compra e non spende abbastanza: con quali soldi? Sovente con i soldi dello stesso tifoso che protesta: è lui che paga con i biglietti sempre più costosi, con i costosissimi “gadgets” del club preferito, ecc. Lo spettabile pubblico, di fronte ai fallimenti delle società sportive, sarà costretto a riflettere sulla sua passione e sui meccanismi che regolano certi aspetti della nostra società.

Pubblicato il 

09.05.03

Edizione cartacea

Rubrica

Nessun articolo correlato