Da molti anni le casse pensioni con i loro investimenti realizzano minori rendimenti. D’altro canto la speranza di vita aumenta e le rendite devono essere versate più a lungo. Sono i principali dati di fatto evocati dal Consiglio federale per raccomandare alla popolazione di accettare la riforma della Legge sulla previdenza professionale (LPP21), in votazione il prossimo 22 settembre. Si tratta “di garantire un finanziamento adeguato e duraturo delle future rendite”, ha affermato la ministra della socialità Elisabeth Baume Schneider nell’odierna conferenza stampa di lancio della campagna referendaria.

 

Una campagna che vede il governo e i partiti borghesi opposti ad un’ampia coalizione sindacale e progressista (con in testa il PS, partito di appartenenza della consigliera federale giurassiana), che contro la riforma approvata l’anno scorso dal Parlamento ha promosso con successo il referendum, ritenendola dannosa per le lavoratrici e i lavoratori di questo paese. E visto che in buona sostanza un “finanziamento adeguato”, secondo quanto prevede la LPP21, passa da una riduzione massiccia delle future rendite (fino a 270 franchi al mese, 3.240 all’anno) e da un aumento dei contributi di risparmio che a ogni salariata e a ogni salariato vengono trattenuti in busta paga. Di qui lo slogan della campagna referendaria scelta dal fronte contrario alla riforma: “Pagare di più per ricevere di meno”. E questo in un contesto che già vede le rendite in caduta libera, tenuto conto che oggi mediamente un pensionato percepisce 300 franchi in meno al mese rispetto a 15 anni fa.

 

Il cuore della riforma in votazione sta nella riduzione del cosiddetto tasso di conversione (dal 6,8% al 6%), cioè di quel valore percentuale che si applica al capitale di risparmio accumulato durante la vita lavorativa (detto avere di vecchiaia) per determinare la rendita pensionistica annua. Se nel regime attuale con un capitale di 100.000 franchi si ha diritto a 6.800 franchi all’anno, in caso di adozione della LPP 21 a soli 6.000. Si tratta di una riduzione del 12 per cento, che in termini assoluti, secondo i calcoli dell’USS, può significare una perdita fino a 3.200 franchi all’anno. Ad essere penalizzate sarebbero soprattutto le persone con più di 50 anni e la classe salariale media, ma anche i giovani verrebbero chiamati alla cassa.

 

PAGARE DI PIÙ PER AVERE MENO

Nonostante detta riduzione delle rendite, la maggioranza borghese del Parlamento ha infatti anche previsto un aumento dei contributi obbligatori alla cassa pensione che ogni mese vengono detratti dal salario delle lavoratrici e dei lavoratori. Questo attraverso un adeguamento delle aliquote di contribuzione e soprattutto altre due misure: da un lato l’abbassamento della soglia di accesso al secondo pilastro (da 22.050 a 19.845 franchi) e dall’altro la riduzione della cosiddetta “deduzione di coordinamento”, che determina la quota di salario assicurata nel secondo pilastro: mentre con la legge in vigore è uguale per tutti (corrisponde a 7/8 della rendita annuale massima AVS, attualmente 25.095 franchi), con LPP 21corrisponderà praticamente al 20 per cento del reddito. Due misure che avrebbero come conseguenza certa un massiccio aumento dei contributi e dunque una diminuzione dei salari delle lavoratrici e dei lavoratori, soprattutto di quelli a basso reddito o a tempo parziale. E oltretutto senza alcuna garanzia circa l’ammontare della rendita una volta raggiunta l’età della pensione. L’infografica allegata illustra bene come gli assicurati dovrebbero pagare molti più contributi (percependo quindi dei salari più magri) per una prestazione molto modesta al momento del pensionamento. Una donna di 50 anni con un salario mensile di 3.300 franchi pagherebbe per esempio 157 franchi in più al mese in cambio di un supplemento di rendita promesso di oltre 335 franchi, ma che percepirebbe tra ben 40 anni e senza che sia prevista una compensazione del rincaro.

 

COMPENSAZIONI PER POCHISSIMI

Durante i lavori parlamentari si è anche discusso a lungo di misure compensatorie per attutire l’impatto della diminuzione delle rendite, che la maggioranza ha però concesso soltanto alle persone che giungeranno alla pensione nei primi 15 anni dopo l’eventuale entrata in vigore della riforma legislativa. Dunque sono esclusi tutti i nati dopo il 1973 e anche tra le persone più anziane solo un quarto avrebbe diritto a una compensazione e solo a condizioni ben precise. Solo i beneficiari di rendite fino a 1.000 franchi godrebbero di una protezione totale. Per tutti gli altri si prospettano drastiche riduzioni delle rendite rispetto a quanto riceverebbero in base alla legge attualmente in vigore. Riduzioni oltretutto aggravate dall’inflazione, visto che le pensioni del 2° pilastro non sono indicizzate. Le persone con redditi molto bassi o impiegate a tempo parziale, con la LPP21 vedrebbero dunque le loro rendite aumentare solo in modo virtuale. Una prospettiva tra l’altro confermata dagli studi condotti sugli effetti dell’ultima riforma della LPP, che pure abbassava la soglia di accesso e riduceva la cosiddetta deduzione di coordinamento, seppur in maniera meno drastica della LPP21. Studi che hanno dimostrato come la situazione economica delle persone sia peggiorata, con una diminuzione dei salari netti e senza ottenere un trattamento pensionistico migliore.

 

A guadagnarci in caso di approvazione della riforma sarebbero invece la finanza, i broker e i grandi gruppi assicurativi, denuncia l’Unione sindacale, attirando l’attenzione su come ciascuno di noi debba sborsare 1.400 franchi all’anno per i costi amministrativi delle casse pensioni, che solo per la gestione dei patrimoni fatturano 6 miliardi di franchi all’anno. Un’esagerazione anche secondo molti esperti e un ambito in cui il potenziale di risparmio sarebbe enorme. E poi ci sono le remunerazioni stellari di manager, broker e intermediari, per cui alla fine sono le salariate e i salariati a pagare. E ora, con la LPP21, invece di riparare a questa situazione si presenta loro una nuova pillola.

Pubblicato il 

24.06.24